Allora lo yogin che ha domato le proprie passioni e osserva una dieta salutare e moderata, dopo che l’asana è stabilmente acquisito, deve praticare il pranayama, seguendo gli insegnamenti del maestro.
Quando il respiro è instabile, la mente è instabile; quando il respiro è stabile, la mente è stabile e lo yogin raggiunge la stasi: perciò è importante controllare il respiro
— Hatha Yoga Pradipika, II. 1,2
La parola Pranayama è composta da Ayama ovvero "controllo" e Prana "soffio vitale".
Una traduzione possibile, ma non completa, è controllo del soffio vitale, ovvero controllo del Prana.
Il controllo è effettuato mediante elaborate tecniche di respirazione volte a modificare in vario modo e su diversi livelli i ritmi ed i processi respiratori.
Il Pranayama rappresenta il quarto gradino dell’ottuplice sentiero esposto da Patanjali nel trattato classico Yoga Sutra, secondo gli insegnamento espressi nell’Hatha Yoga Pradipika è posto al secondo gradino mentre nella Gheranda Samhita costituisce invece il quinto adempimento.
Ponendosi in ordine ben preciso così come è elencato dai testi yogici classici, la pratica del Pranayama presuppone una adeguata e preliminare accurata preparazione che si attua a vari livelli, etici fisici e mentali.
La padronanza della corretta postura del corpo si rivela un presupposto indispensabile alla corretta pratica, così come deve essere ben controllato e stabilito il giusto atteggiamento mentale.
Le pratiche del Pranayama devono essere apprese direttamente da un insegnante esperto in quanto potenzialmente dannose sia per gli aspetti fisici che per quelli energetici e mentali.
Come un leone, un elefante, una tigre, si addomesticano a poco a poco, così anche il prana deve essere controllato per gradi, altrimenti distrugge chi lo pratica
— Hatha Yoga Pradipika, II, 15