L'illusione del tempo che scorre

a cura del dr. Ernesto Iannaccone

«Āyurveda amritanam», ossia “l’Āyurveda è (il migliore) fra i fattori d’immortalità”.
Questa breve sentenza di due parole è tratta dalla Caraka Saṃhitā, il trattato più antico ed autorevole sulla medicina ayurvedica. Essa rimarca, amplificandolo, il proposito principe dell’Āyurveda: consentire ad ogni uomo di vivere a lungo ed in salute. Il termine amrita, infatti, oltre che “immortalità” significa anche “nettare”. E qual è il nettare della vita se non la salute? Benessere e longevità sono due concetti inseparabili tra loro. Una vecchiaia che si trascina nelle malattie e nella sofferenza non può costituire il ragionevole obiettivo di una scienza della vita qual è l’Āyurveda.

Prima di esaminare i fattori che conducono all’invecchiamento e come intervenire su di essi, è opportuno rimettere in discussione il concetto stesso di vecchiaia ponendosi un interrogativo paradossale: l’invecchiamento costituisce davvero un evento ineluttabile? La risposta probabilmente è un sì, dato che in natura ogni cosa è soggetta alla legge del cambiamento e tutto ciò che nasce è destinato prima o poi a finire. Ma la fisica moderna insegna che l’atto di osservare un fenomeno può modificare il fenomeno stesso. Così, pur se il cambiamento è legge di natura, le modalità attraverso cui esso si esprime potrebbero venire influenzate dalla percezione individuale e collettiva.

Un antico detto indiano recita: «L’uomo comune invecchia solo perché vede invecchiare gli altri intorno a sé».
 Sarebbe la percezione del cambiamento a modellare il tempo e non viceversa. Il noto medico e scrittore Deepak Chopra racconta la seguente storia veramente accaduta:

Un gruppo di minatori era rimasto intrappolato nel fondo di una miniera a causa di una frana. L’aria a disposizione era limitata e gli sfortunati erano consapevoli di doverla risparmiare per poter sopravvivere. Si disposero in cerchio, in silenzio, immobili, con le orecchie tese all’ascolto di ogni rumore proveniente dall’esterno. Ma il tempo passava senza che nulla accadesse e progressivamente la disperazione aumentava. Uno dei minatori, il solo ad avere un orologio funzionante, ebbe l’idea di annunciare le ore man mano che passavano. Per non deprimere i compagni, tuttavia, egli chiamava le ore ogni 100 minuti invece che ogni 60. Alla fine, quando l’aria si era quasi esaurita ed i minatori erano sul punto di soccombere, una squadra di soccorritori localizzò la loro posizione ed aprì una breccia provvidenziale.
I minatori furono tratti in salvo, tutti meno uno: era il minatore che aveva contato le ore. Aveva potuto ingannare i suoi compagni, ma non se stesso.


Se la percezione individuale ha un certo peso nell’influenzare i ritmi del tempo, quella collettiva sembra addirittura in grado di “creare” il tempo, con un meccanismo che Chopra definisce «ipnosi dell’indottrinamento sociale». Ad esempio, è comunemente accettato che tra i 60 ed i 70 anni circa di età gli individui perdono buona parte del loro vigore fisico e mentale. Alcuni anni fa una psicologa americana, Ellen Kaplan, condusse un curioso esperimento: raccolse un gruppo di anziani e li condusse fuori città in un ambiente che riproduceva esattamente le caratteristiche della società di alcuni anni prima. La musica, i giornali, gli indumenti erano quelli degli anni ’50 e persino gli argomenti di conversazione erano rigorosamente attinenti a tematiche e ad avvenimenti propri di quegli anni. Ebbene, dopo alcune settimane la studiosa riscontrò cambiamenti sorprendenti nei suoi pazienti. Molti di loro avevano smesso gli occhiali, ritrovato la memoria e la lucidità di un tempo, ripreso a salire le scale senza alcun affanno. Addirittura, in alcuni le dita delle mani si erano allungate ed avevano ripreso la flessibilità giovanile. L’età biologica media dei partecipanti all’esperimento si era abbassata notevolmente. La studiosa concluse che la coscienza collettiva del gruppo aveva talmente condizionato la consapevolezza dei singoli individui da riportare indietro il loro orologio biologico. Purtroppo, dopo il rientro nell’ambiente abituale, i progressi raggiunti andarono perduti nel giro di poche settimane.

Nelle culture nelle quali gli anziani sono rispettati per la loro esperienza e saggezza e salgono di grado nella scala sociale con il passare degli anni, l’invecchiamento è molto meno associato a quei fenomeni di decadenza psicofisica che si riscontrano negli anziani della nostra società. In alcuni rari posti dell’Himalaya, del Caucaso o delle Ande, dove agli occhi dei giovani invecchiare “è bello” e dove gli ultracentenari non stupiscono nessuno, gli anziani mantengono perfettamente integre le proprie facoltà fisiche ed intellettuali spesso fin oltre il secolo di vita. In quelle popolazioni l’idea di poter vivere a lungo è talmente stratificata nella coscienza collettiva da giungere ad influenzare il Dna delle singole persone.

Secondo l’Āyurveda non esiste un limite biologico fisso di durata della vita umana, ma questa varia in funzione della coscienza collettiva nelle diverse epoche storiche e nei diversi contesti geografici e sociali. Sul tema della durata della vita nelle varie epoche la Charaka Samhita si sofferma a lungo con una riflessione che prende spunto dalla celebre teoria indiana degli yuga, le "ere" dell'universo. Secondo tale teoria l'universo oscilla come un pendolo tra i due poli opposti della creazione e della dissoluzione, passando per una serie di fasi che si susseguono in sequenza e si ripetono ciclicamente ogni volta che l'universo si manifesta di nuovo. Il primo periodo è l'età dell'oro, descritta anche come Sattva yuga o Krita yuga (età della perfezione o del compimento). Il secondo periodo è chiamato Treta yuga (età del tre) con un curioso riferimento al gioco dei dadi, significando una giocata che è buona ma non è la migliore. L'ultimo periodo è quello nel quale ci troveremmo attualmente ed è appellato Kali yuga, dal nome del peggior tiro ai dadi. Al termine di quest'ultima fase l'universo si dissolve per poi manifestarsi dopo un intervallo sotto forma di una nuova creazione. Il presente Kali yuga sarebbe cominciato alcune migliaia di anni fa ed il suo inizio è marcato dalla celebre battaglia condotta tra i Kuru ed i Pandava sulla piana di Delhi, che si conclude con l'annientamento di ambo gli eserciti ed a cui si fa riferimento nel poema epico del Mahabharata. Ognuna delle ere dura centinaia se non milioni di anni ed il lento progredire dell’universo verso il proprio annullamento si accompagna ad un graduale ma inesorabile decadimento della qualità della vita umana ed una riduzione della durata della vita stessa.

Durante la prima era (Krita yuga) gli uomini erano valorosi come i figli di Aditi (gli dei), completamente puri e con grande potere; erano in grado di percepire le divinità, i saggi divini, la legge naturale, i riti ed il metodo di compierli; avevano corpi compatti e stabili come il cuore di una montagna, la loro carnagione era luminosa ed i sensi chiari; erano dotati di forza, velocità ed energia come il vento; le loro natiche erano ben formate e le misure dei loro corpi appropriate; avevano buona fisionomia, cordialità, robustezza; erano devoti alla verità, alla rettitudine, alla non violenza, alla carità; avevano controllo sui sensi, osservavano le regole, praticavano l’ascesi, i digiuni, l’astinenza ed i voti; erano privi di paura, passionalità, avversione, confusione, avidità, rabbia, dispiacere, vanità, malattie, sonnolenza, letargia, fatica, spossatezza, stanchezza e tendenza a trattenere; godevano di una vita immensamente lunga.
Poiché il genere umano era perfetto nella mente, nelle qualità e nelle azioni, i raccolti crescevano dotati di straordinarie proprietà: all’inizio del Krita yuga la terra e gli altri fattori (acqua, aria e clima) avevano in sé tutte le buone qualità.

Verso la fine del Krita yuga, a causa del troppo prendere, nei corpi di alcune persone ricche si sviluppò pesantezza. La pesantezza portò alla fatica, la fatica alla stanchezza, la stanchezza alla tendenza ad accumulare, la tendenza ad accumulare alla tendenza a trattenere per sé e la tendenza a trattenere all’avidità. Tutto ciò avvenne nel Krita yuga. Nel Treta yuga l’avidità diede origine alla malizia, la malizia al dire falsità, il dire falsità alla lussuria, alla collera, all’orgoglio, all’odio, all’asprezza, alla violenza, alla paura, alle afflizioni, ai dispiaceri, all’ansietà, all’eccitabilità e così via. Durante il Treta yuga un quarto della legge naturale scomparve ed a causa di ciò la durata degli yuga e le proprietà della terra si ridussero d’un quarto. Conseguentemente diminuirono di un quarto l’untuosità, la purezza, il sapore, la potenza e le proprietà specifiche dei raccolti. A causa dell’assunzione di cibo degradato per un quarto delle proprie qualità ed a causa di comportamenti sbagliati i corpi degli uomini divennero meno resistenti di quanto non fossero in precedenza e furono pervasi da calore e vento, cadendo preda della febbre e delle altre malattie. Così gli esseri viventi dovettero sperimentare una graduale diminuzione della durata della vita. Era dopo era un quarto della legge naturale va progressivamente perduto e ciò si accompagna ad una analoga riduzione delle qualità degli esseri viventi; questo conduce infine alla dissoluzione dell’universo. Con il completamento della centesima parte di ogni era vi è la riduzione di un anno nella durata della vita degli esseri viventi.

Si tratta, è ovvio, di un mito. Non vi è mai stata, probabilmente, un’età dell’oro e forse non vi sarà mai. Tuttavia il mito è interessante perché offre una chiave di lettura di fenomeni anche molto attuali. Personalmente lo definirei un mito ecologista: quando gli uomini si comportano male – sostiene Charaka - l'ambiente si altera. Quando l'ambiente si degrada tutte le creature soffrono e si ammalano. Il cerchio si chiude: gli uomini dipendono dall'ambiente e l'ambiente dagli uomini.

La Brihad Aranyaka Upanishad afferma:

La terra e tutti gli esseri viventi sono reciprocamente dipendenti. Essi sono come il miele e le api: le api producono il miele ed il miele le nutre.

In generale, più la vita è vissuta in armonia con la legge naturale e più la sua durata si allunga. Il funzionamento integrato della mente e del corpo è la chiave della buona salute e della longevità. Ben consapevole di ciò, più di duemila anni fa il saggio Charaka dettò una serie di norme comportamentali la cui osservanza consente di mantenere uno stato di equilibrio ottimale nella fisiologia.

Ecco alcuni dei precetti di Charaka:


  • Sii sincero, libero da collera, non violento e calmo. 
  • Rivolgiti con dolcezza verso gli altri, sii amorevole verso il prossimo.
  • Rispetta gli anziani, sii devoto verso i tuoi insegnanti.
  • Sii misurato nel riposo, nell’attività e nel prendere cibo.
  • Comportati con semplicità, circondati di persone positive, equilibrate e dedite alla ricerca spirituale.
  • Pratica la meditazione, persegui il cammino della ricerca interiore.


 

I padri dell'Āyurveda erano dell’idea che un’esistenza sana e longeva fosse requisito indispensabile per poter realizzare pienamente i molteplici obiettivi della vita umana, classicamente confluenti nei quattro grandi propositi: dharma o “sostegno dell'armonia universale”, artha o “prosperità”, kama o “amore sensuale”, moksha o “liberazione”.


Se una vita lunga era elogiata, non si nutriva però l'idea che un individuo dovesse cercare di prolungare la propria vita oltre i suoi limiti naturali, già stabiliti all’origine al momento della nascita: 

Migliaia di uomini marciano continuamente verso la guerra e vi è differenza nella durata della vita tra coloro che fanno la guerra e coloro che non la fanno; vi è differenza anche tra coloro che contrastano una malattia sul nascere e coloro che non la contrastano, come tra coloro che assumono del veleno e coloro che non lo assumono; non vi è garanzia di durata simile per una giara usata per trasportare acqua ed una giara ornamentale. Pertanto, un regime salutare è alla base della vita, mentre i regimi cattivi conducono alla morte.

È opportuno abituarsi gradualmente ad azioni e cambiamenti dietetici che siano opposti alle qualità del luogo, del tempo e della propria natura. È opportuno evitare l’uso eccessivo, insufficiente e sbagliato di ogni cosa, trattenere tutte le tendenze eccessive e non sopprimere i bisogni naturali che si manifestano. Inoltre bisogna evitare ogni azione sconsiderata. Noi consideriamo tutto ciò come la base del mantenimento della salute; questo è l’insegnamento corretto e la visione giusta.

Un asse ben attaccato ad un veicolo è fornito per natura delle qualità proprie di un asse e, dotato di tutte queste qualità trasporta il carico fino al momento in cui, per esaurimento della propria naturale capacità, va incontro al proprio termine. Questa fine è tempestiva. Similmente la vita associata ad un corpo è forte per natura e, se ben gestita, va incontro al termine per esaurimento della sua lunghezza intrinseca. Una tale morte è tempestiva. Ma quello stesso asse va incontro alla distruzione nel mezzo della sua durata potenziale se sottoposto ad un carico eccessivo, a causa del sentiero irregolare o della mancanza di sentiero, a causa della rottura del cerchio dell’asse, a causa di difetti del veicolo o a causa di errori del suo guidatore, a causa di un bullone che si stacca, che non è lubrificato o che traballa. Similmente la vita si esaurisce nel mezzo della sua durata potenziale se si intraprendono attività non in armonia con le proprie forze, a causa di una dieta che non tenga conto della propria capacità digestiva o a causa d’una dieta irregolare, a causa dell’assunzione di posture irregolari del corpo, a causa dell’eccessiva attività sessuale, a causa dell’associazione con persone malvagie, a causa della soppressione dei bisogni naturali ed a causa della non soppressione degli impulsi che vanno repressi, a causa dell’afflizione da parte di esseri, di veleni, di vento e fuoco, a causa di traumi, a causa della rinuncia al cibo ed alle medicine. Una tale morte è intempestiva. Si considerano intempestive anche quelle morti che si verificano nel corso di disordini trattati in modo erroneo.
Ogni individuo nasce con un proprio potenziale biologico di vita
- sostiene Caraka - e la morte può dirsi tempestiva quando occorre al termine naturale di quel periodo. Se la fine della vita giunge prima di tale momento, allora è di fatto prematura. Lo scopo della scienza medica, delle cure e delle abitudini salutari, è quello di consentire ad ogni persona di esprimere compiutamente il proprio potenziale vitale.

Questo punto è molto importante e va sottolineato ancora una volta: il proposito dell’Āyurveda non è quello d’allungare la vita delle persone, bensì quello di consentire ad ogni individuo di vivere al meglio la propria giusta naturale lunghezza di vita.

Il concetto può essere ulteriormente chiarito mediante un’analogia: i frutti d’ogni tipo d’albero richiedono uno specifico periodo per giungere a maturazione. Tuttavia essi possono seccarsi anzitempo, possono essere mangiati dagli uccelli o possono essere distrutti dalla grandine: in tutti quei casi il processo di maturazione non sarà completato e la fine dei frutti sarà avvenuta prima del tempo. Quando però il frutto è maturo, cade spontaneamente dall’albero: in quel caso la sua fine sarà tempestiva. Lo stesso si può dire per la vita umana, che assomiglia ad un processo graduale di maturazione.

Per consentire ad ognuno di vivere sino alla più tarda età nel pieno delle proprie forze i saggi padri dell'Āyurveda elaborarono delle ricette complesse a base di piante e minerali, che dovevano fungere da ringiovanenti. Parte di quelle ricette sono giunte fino a noi e sono comunemente note come rasayana. Gli autori classici hanno ben descritto gli effetti dei rasayana. Charaka afferma:

Mediante l’uso dei rasayana è possibile ottenere longevità, memoria, intelligenza, immunità dalle malattie, giovinezza, carnagione eccellente, forza fisica, acutezza degli organi di senso, brillantezza e successo. 

Tradizionalmente i rasayana vengono assunti dopo che la fisiologia è stata preparata con alcuni trattamenti di purificazione. In tal modo, una volta che i canali del corpo sono stati ripuliti, i principi contenuti nei rasayana possono fluire liberamente attraverso il corpo apportando i massimi benefici.

I meccanismi d’azione dei rasayana sono molteplici e sono stati recentemente chiariti dalla scienza moderna. Eccone un breve elenco:

  • 
Azione antiossidante (neutralizzazione dei radicali liberi in eccesso).
  • Potenziamento e regolazione delle attività del sistema immunitario.
  • Apporto di micronutrienti essenziali.
  • Miglioramento della microperfusione
  • Potenziamento dell’adattogenesi (la capacità di far fronte a situazioni stressanti).

Sin qui si è scritto di longevità, di invecchiamento e di ringiovanimento guardando al fenomeno da un punto di osservazione interno al fenomeno stesso. Parlare degli effetti del tempo che scorre, quando si è immersi nella corrente del tempo, è un po' come parlare dello spettacolo di un fiume in movimento mentre si è immersi fino al collo nell'acqua e si viene trascinati via dalla corrente. Il mondo indiano ha molto riflettuto sulla natura del tempo ed ha speculato che esso sia un evento puramente mentale, della medesima natura dei pensieri e dei sogni. Ciò che conferisce realtà al tempo sarebbe unicamente la mente, che crea un prima ed un dopo stabilendo un legame di continuità tra gli accadimenti. Senza la mente il tempo cessa di esistere, in assenza di mente l'universo intero scompare. Quando si è immersi nel sonno profondo l'universo non esiste: esso riappare soltanto quando la mente torna in attività al risveglio.

Gli antichi pensatori indiani coniarono un termine per indicare la natura ingannevole del tempo e, più in generale, del mondo percettibile. Il termine è maya, che significa "potere magico". Nella letteratura vedantica maya è il corrispettivo cosmico di avidya o "ignoranza individuale". Essa rappresenta un potere creativo che proietta oggetti illusori sullo sfondo della mente, facendoli apparire come reali. Maya esiste e non esiste. Esiste nel campo della mente duale, non esiste al di fuori di essa. Per il filosofo Shankara maya è anirvacaniya o "inesprimibile". Di conseguenza per cercare di spiegare che cosa sia maya, nella tradizione indiana si fa ricorso a storie pedagogiche, come la seguente:

Un discepolo chiese al proprio maestro di rivelargli la natura di maya. Il maestro acconsentì ma volle un giorno di tempo per farlo. Il mattino successivo i due si incamminarono per la consueta passeggiata. Ad un certo punto il maestro si sedette, stanco, all'ombra di un albero e chiese al discepolo di andargli a prendere un po' d'acqua.
Il giovane obbediente si recò al fiume che scorreva nei paraggi: quivi trovò una splendida fanciulla dai capelli corvini e grandi occhi nocciola da cerbiatta, che lavava i panni nell'acqua. Fu amore a prima vista: il ragazzo, dimentico di tutto, non poté staccare lo sguardo dalla donna e la seguì quando lei si allontanò. Di tanto in tanto la ragazza si voltava per vedere se il suo corteggiatore fosse ancora lì dietro di lei. Giunsero alfine alla casa di lei ed il giovane trovò il coraggio di presentarsi: la donna sorrise e lo invitò ad entrare nell'abitazione dove viveva con gli anziani genitori. L'amore sbocciò per entrambi i giovani e col tempo si consolidò in una unione che fu allietata dalla nascita di due splendidi bambini; il maestro, intanto, era stato del tutto dimenticato. Gli anni passarono, i genitori di lei morirono ed i due sposi continuarono a vivere con i propri figli nella casa che aveva visto nascere il loro amore. Una notte, però, il destino spezzò la loro felicità: il fiume straripò e le acque travolsero la casa i cui occupanti erano immersi nel sonno. Uno dei bambini fu portato via dalla corrente, l'altro si aggrappò con tutte le proprie forze al padre. L'uomo cercava di resistere, tenendo per mano la propria compagna. Fu tutto inutile: la forza delle acque travolse prima la donna, che scomparve tra i flutti, ed infine trascinò via il bambino superstite strappandolo via dalle braccia disperate del padre. L'uomo rimase solo e, sopraffatto dal dolore, perse la coscienza. Molte ore dopo, era giorno pieno, si risvegliò. Si trovava sulla sponda del fiume, che aveva placato la sua furia e si era ritirato nel proprio alveo. Tutto appariva tranquillo, fuori; dentro, però, l'anima del giovane era in preda alla tempesta. La vita gli appariva priva di senso ora che i suoi cari erano periti. Sconvolto, cominciò a vagare senza una meta, indeciso se ributtarsi anch'egli nel fiume. D'un tratto vide a distanza una figura umana indistinta - gli occhi gli si erano appannati per le lacrime - seduta sull'erba all'ombra di un grande albero. Si avvicinò, come spinto da un'energia inspiegabile. La figura si fece più chiara e, miracolo, si trattava del suo maestro, il maestro amato e dimenticato! Commosso e confuso, l'uomo si gettò ai piedi del maestro: non capiva cosa stesse accadendo ma provava sollievo e desiderava solo di abbandonarsi. Il maestro alzò gli occhi e, sorridendo, lo apostrofò: "Allora, hai portato quell'acqua? Sono ore che ti aspetto!

La mente del discepolo s'illuminò. Aveva compreso la lezione del maestro: per tutto quel tempo, che a lui erano sembrati anni, aveva semplicemente sognato. Ora, finalmente, sapeva cosa fosse Maya!

Image

Dr. Ernesto Iannaccone

Medico Specialista in igiene e medicina preventiva, si occupa di Āyurveda dal 1985.
Si è formato con lunghi periodi di soggiorno e di studio in India presso svariate istituzioni ospedaliere ed universitarie.
Esperto in sanscrito e nella traduzione di testi classici.
È autore di diversi libri sull’Āyurveda.

Libri del dott. Iannaccone nella nostra rubrica "Risorse per gli allievi"

Autore
Author: ayurvedicpoint